Incuria distrugge altare del 600







Vogliamo che Ascoli sia città monumentale tutelata anche dall’Unesco come patrimonio dell’umanità?
Benissimo, certamente lo merita rispetto a tanti altri siti già nella lista, ma comportiamoci all’altezza di questo (speriamo presto) riconoscimento che è anche una enorme responsabilità per amministratori pubblici e cittadini.
Allora non può essere tollerato quanto sta accadendo all’interno del giardino di Palazzo Colucci (che ospita gli uffici del Comune), dove c’è un bell’altare del Seicento che, dopo essere stato imbrattato a volontà dai soliti vandali, ora rischia di andare perduto per sempre. Sull’architrave dell’altare, infatti, a causa dell’incuria e del tempo, è nata una grossa pianta le cui radici stanno spaccando l’architrave già enormemente compromesso.
Questione ancora di pochi giorni e il danno, già avanzato, sarà irreparabile. Non può l’incuria umana distruggere questa comunque importante testimonianza dell’arte ascolana nei secoli.
L’altare, di marmo bianco, fu commissionato allo scultore Antonio Giosafatti nel 1604 da Leonardo Quattrocchi. Proviene dalla Cattedrale da dove fu rimosso nel 1838 per l’apertura dell’accesso alla cappella del Santissimo Sacramento.

Fino al 1994 l’altare conteneva anche una preziosa scultura di terracotta, raffigurante la Madonna col Bambino, che, per fortuna, per motivi di tutela, con la dovuta autorizzazione del Ministero delle Finanze, fu prelevata per essere custodita nei depositi della Pinacoteca.
Se fosse rimasta ancora lì sarebbe certamente stata rubata. Che cosa aspetta il Comune ad intervenire per salvare questo altare? Ma di “perle”, inaccettabili per un centro storico di tanto valore, ce ne sono anche altre.
Da pochi giorni, ad esempio, in piazza del Popolo, è stata installata una palina con segnaletica turistica proprio davanti al raffinatissimo tabernacolo corinzio (1639) dello scultore ascolano Lazzaro Morelli addossato alla chiesa di San Francesco. Molto bene per i percorsi turistici indicati ma il palo copre inopportunamente il tabernacolo impedendo anche ai turisti di fotografare la chiesa in tutta la sua bellezza. Il palo non poteva essere collocato in una posizione meno impattante? Magari in un angolo, accostato alla chiesa? Terza “perla”: il tabellone luminoso (informazioni e pubblicità) affisso sulla facciata dell’Arengo.
Pugno in un occhio. Violando tra l’altro il divieto di affissione (art. 663 cp) sugli edifici vincolati.
Per fortuna, però, il commissario Fabio Costantini, prima di andarsene, ha ordinato lo spostamento. Che ci aspetta?

Franco De Marco (Il Messaggero)

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