Arresti, condanne e multe la crociata di New York contro graffiti e murales

Ex agenti "proteggono" le 468 stazioni del metrò Il giro di vite è riuscito dove il sindaco-sceriffo Rudy Giuliani aveva fallito Morti i "grandi" dello spray come Basquiat e Haring, declina l'arte del disegno sui muri

ANGELO AQUARO
NEW YORK - Addio graffiti sorgenti dal metrò.


«Guardate: quella parola, graffiti, ormai sta diventando out, bandita.

Non è più così facile a New York, non più».
Vincent DeMartino, il vicepresidente del New York City Transit, parla spiccio come un poliziotto:
«Scrivetelo: vuoi sporcare ancora? E io ti acchiappo». Eccome se ti acchiappano.

Danielle Bremmere Jim Clay Harper, 27 e 26 anni, che qui hanno comicamente ribattezzato i Bonnie & Clyde del genere, una carriera certificata da «Graffiti World», bestseller su Amazon, sono finiti in manette un anno fa, dopo un inseguimento da giro del mondo: New York, Boston, Atlanta, Londra, Francoforte, Parigi, ancora New York.
E fine del graffiti tour. «I newyorchesi sono stanchi di questi cosiddetti artisti e del loro vandalismo: è solo egocentrismo», ha sentenziato la settimana scorsa Richard Brown, il District Attorney, capo della Procura del Queens: sei mesi di prigione e 10mila dollari di multa, please.
C'era una volta la Grande Mela bucherellata di graffiti e murales, sui vagoni dei treni, nei tunnel del metrò, sui muri dal Bronx a Manhattan.

Un marchio firmato (i graffitari si autocelebrano con i tags, degli acronimi più o meno artistici), un segno del paesaggio.
Pat Romano del New York City Transit: «Segno costoso: l'anno scorso, per rimuoverli, abbiamo speso 125mila dollari. Ma la buona notizia è che stiamo dimezzando i costi: nel 2007 i dollari erano 350mila».
Dimezzati anche gli arresti: 53 blitz nel 2008 contro i 93 dell'anno precedente. Un record.
Mai così pochi negli ultimi trent'anni. Tutto merito dell'Eagle Team, la pattuglia di detective e ispettori in pensione che la società del metrò ha sguinzagliato per le sue 468 stazioni.

Un risultato che non era riuscito neppure a Rudolph Giuliani, il sindaco sceriffo che nel '95 lanciò l'Anti-Graffiti Task Force e vietò la vendita degli spray ai minori di 18 anni.
Sembra un'era fa. E preistoria, nella New York che in pochi mesi ha visto chiudere il più famoso ritrovo punk (il Cbgb) e il più grande negozio di musica del mondo (il Virgin Megastore), sembra quel 1979 che segnò lo sdoganamento del graffito, dalla strada al pop. Accadde tutto in un video ormai storico, «Rapture» dei Blondie, complice la comparsata di un certo Basquiat, l'ex amichetto di Andy Warhol che, ormai buonanima, oggi viaggia nelle aste di Sotheby's sui 600mila dollari a pezzo.
Ecco, il problema è proprio quello. Morto Basquiat (1988), sepolto Keith Haring (1990), l'altra grande icona che ha trasformato il graffito in pop art, il testimone, anzi lo spray, è passato di mano in mano a personaggi sempre meno noti, quantomeno al grosso pubblico.

Fino al povero Dash Snow, biondo e dannato come Kurt Cobain, stroncato da un'overdose tre giorni fa, e confinato dal New York Times nella pagina degli obituaries con il titolo giornalisticamente impeccabile ma certo non economicamente appetibile: «Dash Snow, artista ribelle dell'East Village, muore a 27 anni».
David Selden, uno dei più importanti critici del movimento, giura che «ora anche il mondo dell'arte ha il suo bel corpo da esporre: il suo vero e proprio Re del Pop, variante Brooklyn».

Sarà. Ma il New York Magazine si è affrettato a chiedere a uno stuolo di esperti: scatterà o no anche per il povero Dash il «Ghoul Factor», l'effetto fantasma, cioè quel meccanismo che, da Van Gogh in poi, fa impennare le vendite al maestro morto?
I numeri non mentono: Phillips de Pury, la casa d'arte e d'aste nel cuore di Chelsea, in maggio ha battuto un Dash per 6.875 dollari. Punto.


La metropolitana di New York, nell'ultimo anno, ha messo a bilancio 2 milioni di dollari alla voce «danni possibili provocati da ogni tipo di graffito». Altro punto.
Sì, il mondo è cambiato. Prendete Shepard Fairey.

Il suo ritratto stile graffito di Obama, clonato da una foto dell' Ap (con seguito di processo per violazione del copyright), oggi è appeso alla National Portrait Gallery, Washington.
Ma a 39 anni l'artista di strada è ancora inseguito dalla polizia di mezza America.
Il 10 luglio l'hanno fermato i cops di Boston: lui andava lì, ricco e famoso, a inaugurare una mostra, quelli gli hanno contestato undici blitz in nove anni, da un poster piazzato su una centralina elettrica, nel 2000, a un adesivo incollato su un segnale del traffico.
Il noto criminale si è dovuto arrendere: 2.000 dollari di multa, lavoro forzato di pulizia dei graffiti.
E, soprattutto, un'ammissione che è una rivoluzione: «Ragazzi, l'arte è arte, ma la proprietà resta privata, e si rispetta».
LE ORIGINI Il graffiti writing, o graffitismo, nasce a Filadelfia nei tardi anni Sessanta e si sviluppa a New York negli anni Settanta IL GERGO Il tag è lo pseudonimo di ogni graffitista, il suo alter-ego.
Corrisponde al marchio firmato con cui il writer si autocelebra.

I COSTI L'anno scorso il New York City Transit ha speso 125mila dollari per rimuovere i graffiti, nel 2007 ben 350mila LE QUOTAZIONI Un'opera di Dash Snow a maggio è stata battuta per oltre 6800 dollari.
I pezzi di Basquiat sono quotati intorno a 600mila dollari


fonte:larepubblica ed.naz.le

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